giovedì 24 luglio 2014

The Invisible Woman


"This is a tale of woe, this is a tale of sorrow, a love denied, a love restored to live beyond tomorrow. Lest we think silence is the place to hide a heavy heart, remember to love and be loved is life itself, without which we are naught."

Cammina a passo svelto e nervoso, senza mai voltarsi indietro, sulla spiaggia deserta dove le onde spezzano il silenzio, instancabili; Ellen Robinson fa quel percorso ogni mattina, non curante degli impegni lasciati in sospeso o del fatto che il marito possa preoccuparsi per la sua assenza, inseguita dall'ombra che non può smettere di perseguitarla e di darle conforto per tutto ciò che ha ormai perduto: una volta si chiamava Nelly Ternan, aveva solo 18 anni e una carriera d'attrice da condividere con la madre e le due sorelle, tutte educate alla libertà e all'indipendenza di una vita da palcoscenico. Il destino aveva però in serbo per Nelly un futuro ben diverso: incrociata per caso la strada di Charles Dickens, all'epoca all'apice della sua fama letteraria e ricercato dagli ammiratori come una vera e propria celebrità, la ragazza accettò di rinunciare a tutto, sparendo letteralmente dall'occhio indiscreto della società e consacrando la sua esistenza ad essere l'anima affine di cui lo scrittore aveva sempre sentito la mancanza.

Al mistero di Nelly, debitamente nascosta dell'amante al punto di divenire malapena un riflesso della donna che avrebbe potuto essere è dedicato The Invisible Woman, seconda regia di un Ralph Fiennes che sceglie di ritagliare per sé stesso anche l'imponente ruolo di Charles Dickens.

La scrittura di Dickens vive di personaggi dai tratti inconfondibili e spesso grotteschi, ma il film non ha alcun interesse nel tracciare la rotta di uno Shakespeare in Love ottocentesco, pronto a cucire l'immaginario dell'autore addosso alla sua stessa vita privata: partendo dalla biografia di Claire Tomalin, Fiennes e la sceneggiatrice Abi Morgan (The Hour, The Iron Lady, Shame) sembrano guardare piuttosto a Bright Star di Jane Campion, delicatissimo ritratto d'artista dove tempi posati e teneri sguardi sostengono una storia d'amore che non ha bisogno di essere sovraccaricata da musiche altisonanti e scene melodrammatiche, portando a testimone della sua sacralità solo una natura in armonia, paziente e meravigliosa nella sua semplice perfezione.

La camera indugia cauta sulla sottile figura di Nelly mentre accarezza i libri dell'amato cercando di coglierne un sussurro, sospesa su inquadrature sfocate e pregne del profumo del legno, vissuto e antico, della fotografia di Rob Hardy e delle scenografie di Maria Djurkovic: a completare la tela il notevole lavoro operato sugli effetti sonori in grado di mischiare abilmente la quiete e il caos, lo scrosciare delle onde che si infrangono sulla riva e il caos calmo dell'incidente ferroviario, che sembrano emergere dalla nebbia come da un vecchio album di memorie.

Dietro all'assiduo frequentatore di salotti e serate di beneficenza, solare mattatore di appassionanti letture e spettacoli teatrali soffocato dalle tante strette di mano dei suoi lettori, si nasconde un Dickens condannato a vivere in mezzo alle schiere di fantasmi che popolano le sue storie, fra anime perdute e donne di malaffare, tristi ricordi d'infanzia ed esperienze traumatiche; minuta come la piccola Dorrit, complice e amica come Agnes Wickfield, preferita ad una moglie che come Dora Spenlow aveva abbagliato lo scrittore per poi stancarlo con la sua inconsistenza, Nelly non può fare altro che trasfigurarsi anch'essa, divenendo un'emanazione del mondo magico e spaventoso che il suo amato cristallizza per sempre fra le pagine: l'irresistibile fascino e il vivace intelletto della sua giovinezza verranno assorbiti dal personaggio di Estella, tragica eroina di Grandi Speranze, su cui Dickens riverserà tutta la sua frustrazione per una passione senza futuro.

Col giusto apporto di trucco e parrucco, Ralph Fiennes veste i panni di Charles Dickens con una tranquillità che non avremmo mai sospettato; a possedere l'anima del film è però Felicity Jones, i capelli neri nascosti sotto ciocche biondo cenere, nel ritratto di una donna costretta a pagare un bisogno d'amore con una cattività consapevole in un mondo dove solo gli uomini posso essere perdonati per i propri errori: interessante in tal senso anche il ruolo della madre, interpretata da una splendida Kristin Scott Thomas, che decide di supportare la figlia più a ragione del suo scarso talento come attrice ( che prima o poi l'avrebbe resa incapace di mantenersi con le proprie forze) che della sua felicità, quasi a sottolineare ulteriormente quanto la scelta di Nelly sia stata comunque condizionata dalla fragilità della condizione femminile nella società vittoriana.

Nella prova di Joanna Scanlan, in grado di restituire al personaggio tutta la compita dignità di una moglie consapevole di aver dato tutta sé stessa ad un marito incapace di amare a lungo una donna sfiorita dall'età e dalle troppe gravidanze, Catherine Dickens continuerà a sopravvivere all'ombra del pesante fardello del marito; Nelly invece riuscirà a riemergere dall'oscurità grazie a un marito premuroso (Tom Burke, visto recentemente in The Musketeers e tornato a Dickens dopo l'ultima versione BBC di Grandi Speranze) e a una vita da insegnante a Ramsgate, invisibile agli occhi del mondo ma finalmente visibile e reale per coloro che la amano. Così, in una pace apparentemente conquistata ma ancora tormentata dalle ombre del ricordo, The Invisibile Woman cala il sipario sulla sua storia: una storia di dolore, di una donna risoluta e con facilità dimenticata, che dovette barattare la vita con l'amore e nascondersi dietro al muro di un mondo sordo a sé stesso, incapace di sentire la voce dei sentimenti quanto il rumore insistente delle onde del mare.

Note:
-Come spesso accade nel nostro straordinario paese, il film non è stato ancora distribuito in Italia e probabilmente non lo sarà mai. Potete comunque acquistarlo tranquillamente qui.



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