lunedì 22 settembre 2014

Original Soundtrack: dall'ost al film e ritorno


Qual è la prima cosa che fate subito dopo aver visto un bel film? Discuterne coi compagni di visione è importante, prendere appunti nel caso ci fosse l'opportunità di scrivere una recensione è fondamentale, condividere un breve giudizio sui social network è ormai una prassi tanto sana (?) quanto imprescindibile,  ma per la sottoscritta c'è un'unica sana vecchia abitudine senza la quale l'esperienza cinematografica non potrebbe mai dirsi davvero conclusa: recuperare e ascoltare la colonna sonora del film, passare giorni e giorni immersa nell'atmosfera di una canzone o di un tema e prolungare il più possibile l'esperienza di visione è uno dei piccoli piaceri della vita a cui non potrei mai rinunciare.

Si dice che non si dovrebbe giudicare un libro dalla copertina, ma scegliere un film partendo dalla sua colonna sonora è interessante: inciampi per caso in un titolo mai sentito, lasci che sia l'orchestra a fare la miglior promozione possibile e ti convinci che quel film lì, pur con la sua chilometrica lista di riserve, merita comunque un tentativo.

Spesso e volentieri tutto finisce bene, altre volte tu e la musica decidete di restare amici a patto che il suo film non osi mostrare mai più la sua faccia in pubblico: sperando, tempo permettendo, di poter trasformare questo spazio in una rubrica classificosa di quelle che piacciono tanto a noi e all'internet, ecco quindi alcuni recenti casi di febbre da colonna sonora che ho avuto la fortuna (o la sfortuna) di incrociare negli ultimi mesi:

The Grand Budapest Hotel


Wes Anderson (confondetelo con Paul Thomas AndersonPaul W.S. Anderson e vi beccherete un tacco 12 in piena faccia) è considerato dai più un'istituzione, ma pur apprezzandolo molto non ho mai sentito un attaccamento profondo per la sua filmografia, soprattutto dopo la parziale delusione per l'osannatissimo Moonrise Kingdom: in un cinema di geometrie popolato da personaggi dai tratti meccanici e caricati lo spettacolo è allestito con ricchezza di dettagli e assoluta devozione, ma non abbastanza da fare scattare nella sottoscritta quella scintilla che rende il nome del regista garanzia di autentica meraviglia.

A trascinarmi nella visione di The Grand Budapest Hotel è stata invece, e direi per fortuna, la colonna sonora di Alexandre Desplat: pur puntando su schemi piuttosto fedeli alla migliore tradizione del compositore francese, la partitura per l'ultimo film di Anderson intreccia pezzi classici a una tela di yodel, balalaike e marcette che rende al meglio l'atmosfera scoppiettante e pittoresca della sua opera.

Con i loro rosa e verdi i saloni del Grand Budapest raccontano il garbo di una Mitteleuropa vivace e ormai perduta, divertendosi in un delizioso gioco di incastri guidato da un istrionico Ralph Fiennes ( erano anni che non si vedeva al suo meglio) e venato da una dolce e finissima malinconia: un cuore delicato, custodito da Saoirse Ronan nella perfezione di un pasticcino, che mi ha fatto innamorare del film all'istante.


Bel Ami



Fine specialista del Period Drama ( il Premio Oscar per la colonna sonora di Emma è stato suo nel 1996), Per il Bel Ami con Robert Pattinson Rachel Portman ha scritto un tema energico e rabbioso le cui repentine scale sembrano accordarsi perfettamente all'orgoglio e alla vanità di George Duroy: peccato che questa sia una delle poche cose da salvare in un lungometraggio sbiadito e poco ispirato che spegne gran parte del suo entusiasmo grazie alla mancanza di carisma nel suo protagonista.

L'ultima volta che ho azzardato una critica al talento artistico del giovane Robert mi sono beccata una caterva di insulti e l'accusa di avere col ragazzo un vero e proprio problema personale: credetemi, non c'è nessuna questione in sospeso fra me e Mr Pattinson, si vede che si sforza tantissimo e ce la mette tutta, ma accanto a una Kristin Scott Thomas stiracchiata e al botox di Uma Thurman la sua interpretazione viene insabbiata senza darci modo di comprendere come mai tutte le donne di Parigi finiscano per cadere rapidamente nella sua rete.

Non deve aver aiutato la regia a quattro mani dei registi teatrali Declan Donnellan e Nick Ormeron, piuttosto indecisi sul taglio da dare alla storia e poco a loro agio in una Parigi resa anonima dall'impossibilità di girare in location.
Rachel, il tuo lavoro è splendido come sempre, ma illudere il prossimo in questo modo sul film anche NO eh.


Like Crazy


Poche note che si cercano e si inseguono, saltellando malinconicamente sulla tastiera del piano e riuscendo a malapena a sfiorarsi: è stata la danza ipnotica di We Move Lightly, firmata dall'americano Dustin O' Halloran insieme all'intera colonna sonora, a portarmi verso Like Crazy.

Diretto da tale Drake Doremus, Like Crazy è il classico esempio di film Indie da Sundance Film Festival ( non per niente ha vinto il Gran Premio della Giuria all'edizione del 2011) realizzato a basso costo e costruito su un semplice intreccio sentimentale: i protagonisti sono l'americano Jacob e l'inglese Anna, interpretati da un finalmente adulto Anton Yelchin e da una bravissima ma all'epoca sconosciuta Felicity Jones, il cui amore viene messo a dura prova da una distanza divenuta improvvisamente inconciliabile a causa di una serie di decisioni ingenue, impulsive e sbagliate.

Uno sguardo onesto sulle difficoltà, esasperate dalla lontananza, che accompagnano i rapporti di coppia e inquietano anche le anime più affini, reso fresco e significativo dalle naturali interpretazioni degli attori( in un ruolo secondario c'è anche l'amata/odiata Jennifer Lawrence), i colori caldi dei tramonti sulla spiaggia e le limpide musiche di O' Halloran:  il finale sospeso e incerto in stile "Il Laureato" avrà fatto arrabbiare molti, ma per me è un tocco di classe.


Wonderland


La più grande scoperta cinematografica della mia estate 2014: maestro del minimalismo musicale, Michael Nyman è universalmente conosciuto e ricordato per la passionale e romantica colonna sonora del Lezioni di Piano di Jane Campion, ma in tempi non sospetti (per l'esattezza nel 1999) il suo nome è comparso sull'ost di un piccolo film di cui probabilmente quasi nessuno ricorda l'esistenza e che qui abbiamo scoperto per caso proprio navigando in una playlist a lui dedicata: diretto da Michael Winterbottom e presentato in concorso al Festival di Cannes, Wonderland segue i suoi personaggi nella meravigliosa e sempre splendida Londra offrendoci però un ritratto ben diverso da quello che potremmo trovare in una commedia di Richard Curtis; immensa, caotica e piena di contrasti la Capitale inghiotte e frammenta le vite dei suoi abitanti, abbandonandoli sul sentiero di un Paese delle Meraviglie che come nella nota opera di Lewis Carroll nasconde in realtà più pericoli che delizie.
Moltissima camera a mano e un approccio documentaristico rendono l'indagine di Winterbottom, portata a termine coi mezzi limitati di una produzione indipendente, ancora più affascinante: in sintonia col battito della pellicola, l'Ost di Nyman indulge e si infuria rivelando il disorientamento e la crisi dei personaggi e amplificandone la rassegnata disperazione, il timido bisogno di speranza e la catarsi del perdono.

Entro la notte del Guy Fawkes Day ( il 5 novembre) la storia delle 3 sorelle Debbie, Molly e Nadia si intreccia a quella di numerosi altri personaggi in un film collettivo che asseconda timidamente la moda del genere scatenatasi dopo il Magnolia di Paul Thomas Anderson: oltre a Gina McKee ( vista in The Borgias e recentemente a teatro con Richard III) a lasciare il segno è soprattutto John Simm( Doctor Who, The Village), nei panni di un giovane marito schiacciato da un lavoro monotono e terrorizzato da un'imminente paternità.



La Belle et La bête



Nell'era in cui le streghe cattive diventano le migliori amiche delle loro vittime principesse e i principi azzurri si rivelano i veri villain della storia, abbiamo ancora bisogno di fiabe raccontate in modo tradizionale e senza troppi colpi di scena? Probabilmente si, a patto di sedersi sulla poltrona in completo relax per lasciarsi risucchiare dentro un libro illustrato come quelli che da piccoli sfogliavano avidamente, proprio perché attirati dai colori delle immagini nascoste fra le pagine: diretta da Christophe Gans, l'ultima versione live action de La Bella e La Bestia vanta un colonna sonora non particolarmente ricca d'inventiva ( composta da Pierre Adenot), ma il suo carillon è romantico quanto basta per persuadere chi ascolta della bontà dell'operazione e convincerlo a procedere con la visione.

In una foresta incantata riprodotta con abbondante uso di CGI, le rovine di un castello e le rose che si intrecciano alle sue mura fanno da cornice ad un canovaccio che rinuncia ad ogni moderna implicazione o sottotesto, facendosi bastare una storia semplice e visivamente stuzzicante: con due protagonisti bellissimi come Lea Seydoux e Vincent Cassel ( ok, tecnicamente non bellissimo, ma estremamente attraente si), costumi appariscenti e dai colori brillanti che farebbero invidia a qualunque principessa e rallenty posizionati ad arte si ha spesso la sensazione di stare guardando un lungo spot natalizio di Dior o Chanel, ma essendo La Bele et La bête un film dall'estetica e dal sapore estremamente francese direi che l'effetto fa comunque la sua parte senza disturbare troppo: chi ama i film che ti fanno brillare gli occhi grazie alle luci della messa in scena e all'amore che trionfa spezzando maledizioni e incantesimi sarà felice e contento, mentre tutti gli altri potranno tranquillamente optare per qualcos'altro e risparmiarsi penose sofferenze.


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